Il concetto di Riserva Cerebrale o Riserva Cognitiva (RC) si riferisce alla capacità di tollerare i cambiamenti legati all’età e/o a patologia cerebrale senza sviluppare, almeno inizialmente, sintomi clinici o segni di malattia [Fratiglioni L, Wang HX (2007) Brain reserve hypothesis in dementia. J. Alzheimers Dis 12: 11–22]. La RC spiegherebbe anche la relazione tra istruzione, complessità professionale, capacità di lettura, QI e demenza. Questa riserva sembra essere il risultato di cambiamenti cerebrali derivanti da modificazioni nella struttura e nell’elaborazione dell’informazione [Katzman R (1993) Education and the prevalence of dementia and Alzheimer’s disease. Neurology 43: 13–20]. Per Stern, la RC può assumere due forme: (1) la riserva neurale in cui le reti cerebrali esistenti sono più efficienti o hanno una maggiore capacità e può essere meno suscettibile alle lesioni (2) la compensazione neurale in cui reti alternative possono compensare l’interruzione patologica delle reti preesistenti. La RC presuppone la nozione di una soglia entro la quale l’espressione clinica della malattia sottostante verrà limitata, questa si manifesterà solo quando avrà superato il livello soglia; a quel punto la RC non potrà più compensare la degenerazione cerebrale sottostante e la malattia si conclamerà. È implicita la possibilità che l’aumento diretto di RC possa aiutare a prevenire/ritardare la manifestazione clinica di AD e altre demenze (Stern Y (2006) Cognitive Reserve and Alzheimer Disease. Alzheimer Dis Assoc Disord 20: S69–74). S’ipotizza che la RC agisca attraverso meccanismi protettivi e compensatori, infatti gli individui con livelli più elevati di RC avranno una prevalenza e un’incidenza più bassa di demenza in particolare AD. Si ritiene più in generale che la stimolazione, sia mentale che fisica, durante tutto il corso della vita aumenti la RC consentendo di mantenere la funzione cognitiva nella vecchiaia e di proteggere o ritardare l’insorgenza di demenza come AD (PLoS One. 2012;7(6): e38268. doi: 10.1371/journal.pone.0038268. Epub 2012 Jun 4. Education and dementia in the context of the cognitive reserve hypothesis: a systematic review with meta-analyses and qualitative analyses. Meng X, D’Arcy C.) Quindi la relazione tra RC e demenza differirà a seconda della patologia sottostante (Roe CM, Xiong C, Miller JP, Morris JC (2007) Education and Alzheimer disease without dementia: support for the cognitive reserve hypothesis. Neurology 68: 223–228). Nel Parkinson, livelli più elevati d’istruzione sono associati sia a migliori prestazioni cognitive che a un piccolo ma significativo rallentamento del declino cognitivo, ma non sono associati a una riduzione dell’incidenza della demenza a lungo termine (Parkinsonism Relat Disord. 2014 Jan;20(1):1-7. Cognitive reserve in Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Hindle JV, Martyr A, Clare L.) Recentemente uno studio longitudinale sulla relazione tra livello culturale e Parkinson dimostra che a 4 anni di distanza chi aveva un livello culturale più alto prima dell’esordio della malattia, mantiene prestazioni cognitive significativamente migliori rispetto ai pazienti con basso livello culturale (Int J Geriatr Psychiatry. 2016 Jan;31(1):13-23. The effects of cognitive reserve and lifestyle on cognition and dementia in Parkinson’s disease a longitudinal cohort study. Hindle JV, Hurt CS, Burn DJ, Brown RG, Samuel M, Wilson KC, Clare L).
Alla luce del concetto di Riserva Cognitiva possiamo ben capire su cosa si possa basare la stimolazione cognitiva utilizzabile con i pazienti affetti da demenza; indurre un miglioramento del funzionamento cognitivo e sociale attraverso una specifica riattivazione delle abilità cognitive generali residue (Maintenance cognitive stimulation therapy for dementia: single-blind, multicentre, pragmatic randomised controlled trial M. Orrell, E. Aguirre, A. Spector, Z. Hoare, R. T. Woods, A. Streater, H. Donovan, J. H, Martin Knapp, C. Whitaker, I. Russell The British Journal of Psychiatry Jun 2014, 204 (6) 454-461).
Ci sono forti evidenze sui benefici della stimolazione cognitiva per le persone affette da demenza (Orrell M, Woods B, Spector A. Should we use cognitive stimulation therapy to improve cognitive function in people with dementia? BMJ 2012; 344: e633.). Una recente rassegna Cochrane ha mostrato che la stimolazione cognitiva ha migliorato sia la cognizione che la qualità della vita dei pazienti, spingendosi sino a dimostrare che i benefici della stimolazione cognitiva hanno migliorato le prestazioni di tutti i pazienti che assumessero o meno il farmaco inibitore delle acetilcholinesterasi (AChEI). (Woods B, Aguirre E, Spector A, Orrell M. Cognitive stimulation to improve cognitive functioning in people with dementia. Cochrane Database Syst Rev 2012; 2: CD005562).
Il World Alzheimer Report del 2011 ha concluso che «ci sono forti prove per sostenere programmi di stimolazione cognitiva e questi interventi dovrebbero pertanto essere offerti regolarmente» (Prince M, Bryce R, Ferri C. World Alzheimer Report: The Benefits of Early Diagnosis and Intervention. Alzheimer’s Disease International, 2011 (www.alz.co.uk/worldreport2011), specialmente in casi di lieve e moderato livello di decadimento demenziale (Social Care Institute for Excellence. Dementia: A NICE-SCIE Guideline on Supporting People With Dementia and Their Carers in Health and Social Care. Leicester: British Psychological Society; 2007)
Crescenti evidenze emergono da studi qualitativi su persone con demenza estesi per un lungo periodo indicando che la stimolazione cognitiva non solo ha benefici sulla cognizione, ma anche sul benessere e sulla qualità della vita. (Support at Home: Interventions to Enhance Life in Dementia (SHIELD) – evidence, development and evaluation of complex interventions. Orrell M, Hoe J, Charlesworth G, Russell I, Challis D, Moniz-Cook E, Knapp M, Woods B, Hoare Z, Aguirre E, Toot S, Streater A, Crellin N, Whitaker C, d’Amico F, Rehill A. Southampton (UK): NIHR Journals Library; 2017 Feb)
L’attività mentale complessa induce miglioramenti nella cognizione, nella funzione del cervello e nella sua struttura sia negli animali che nei giovani adulti. Non è chiaro in che misura il cervello invecchiato sia in grado di tale plasticità. Questo studio espande le prove precedenti dei guadagni cognitivi generalizzati dopo un periodo di training cognitivo in gruppi di anziani sani. Utilizzando misure basate su Rmn di 3 tesla, hanno esaminato i cambiamenti cerebrali a riposo in 3 tempi: prima della stimolazione, a metà del periodo di stimolazione e dopo 12 settimane. Il campione randomizzato (n = 37) ha ricevuto la stimolazione cognitiva rispetto a un gruppo di controllo. Sono stati trovati significativi mutamenti di stato del cervello legati alla stimolazione in condizione di riposo: 1) aumento del flusso sanguigno cerebrale globale e regionale (CBF), in particolare nella rete di default predefinita e nella rete esecutivo-centrale, 2) maggiore connettività in queste stesse reti, 3) aumento dell’integrità della sostanza bianca nell’area del giro uncinato sinistro. Miglioramenti nella cognizione sono stati identificati insieme a significativi CBF correlati ai guadagni cognitivi. Gli autori propongono che la stimolazione cognitiva rafforzi l’attività e la connettività neurale attraverso un aumento dell’offerta di sangue a queste regioni tramite l’accoppiamento neurovascolare. Questi risultati convergenti suggeriscono preliminarmente che la plasticità neurale può essere sfruttata per mitigare le perdite cerebrali negli anziani attraverso la stimolazione cognitiva (Neural Mechanisms of Brain Plasticity with Complex Cognitive Training in Healthy Seniors. S.B. Chapman, S.Aslan, J.S. Spence, J.J. Hart Jr, E.K. Bartz, N. Didehbani, M.W. Keebler, C.M. Gardner, J.F. Strain, L.F. DeFina and H. Lu. Cerebral Cortex February 2015;25:396–405)